martedì 3 dicembre 2013

Piangiamo Costanzo che vivendo ci fu caro, piangiamo la sua memoria, ma... Venturi non immemor aevi.

 
Piangiamo Costanzo che vivendo ci fu caro, piangiamo la sua memoria, ma... Venturi non immemor aevi.



Il cartiglio sullo stemma di uno del martiri della Rivoluzione napoletana del 1799, Gennaro Serra di Cassano,   reca una scritta che, per la sua espressione incipitale (Venturi), sollecita a proporne la lettura (o la rilettura) anche  a tutti gli estimatori e amici di Costanzo:

                                                        Venturi non immemor aevi

[Non immemor, Non immemore / Aevi (genitivo di aevus, aevi; età, vita, epoca, periodo della storia passata, esistenza, speranza o durata della vita umana) / Venturi (genitivo di venturus, venturi; venturo, futuro; come sostantivo neutro venturum, venturi: il futuro)].

Vi si esprime l’esigenza di saldare il passato al futuro e il futuro al passato. Il futuro che si riverbera così nel passato, come il passato  – quasi transitando per il presente – attende, a sua volta, la sua ventura rammemorazione, orientando il futuro stesso. Come se il futuro svernasse nel passato, raccogliendo le aspettative e le speranze sinora inascoltate in vista della loro realizzazione.
E dunque, caro Costanzo, “ad multos annos” per i semi che ci hai lasciato: questo è il mio augurio, per una nuova (tua e nostra) “avventura” (nel senso etimologico della parola) che occorre desiderare (avventura, l’andare verso le cose future, ad ventura), aspirando e impegnandosi sempre a dare un senso alla propria vita proiettandola nell'altrove della "buona utopia", che è assoluta negazione dell'indeterminato capitalistico, una concreta "utopia comunitaria" perseguita secondo itinerari da inventare, progettare, non immemor aevi venturi. E' questa la sostanza della "passione durevole" che a partire da Lukács ci hai trasmesso.


                                                                                                      Carmine Fiorillo




“Noi piangiamo i morti, non come morti, ma come stati vivi; piangiamo quella persona che fu viva, che vivendo ci fu cara, e la piangiamo perché ha cessato di vivere, perché ora non vive e non è. Ci duole, non che egli soffra ora cosa alcuna, ma che egli abbia sofferta quest’ultima e irreparabile disgrazia (secondo noi) di esser privato della vita … noi piangiamo la sua memoria …”.
                                                                           Giacomo Leopardi, Zibaldone, 9 aprile 1827.


Ma ...

"Felice il tempo nel quale la volta stellata è la mappa dei sentieri praticabili e da percorrere, che il fulgore delle stelle rischiara. Ogni cosa gli è nuova e tuttavia familiare, ignota come l'avventura e insieme certezza inalienabile. Il mondo è sconfinato e in pari tempo come la propria casa, perché il fuoco che arde nell'anima partecipa all'essenza delle stelle; come la luce del fuoco, così il mondo è nettamente separato dall'io, epperò mai si fanno per sempre estranei l'uno all'altro. Perché il fuoco è l'anima di ogni luce, e nella luce si avvolge il fuoco. Così ogni atto dell'anima riceve un senso e giunge al compimento entro questa duplicità: esso è compiuto nel senso e compiuto per i sensi, è perfetto perché l'anima riposa in se stessa mentre muove all'azione; è perfetto, ancora, perché il suo agire si stacca da essa e, fattosi autonomo, perviene al proprio centro e si iscrive in un suo conchiuso ambito".

                                                                                               György Lukács, Teoria del romanzo

[“Il romanzo è la forma dell'avventura [...]; il suo contenuto è la storia diun'anima che si mette in cammino per conoscersi, che cerca l'avventura permettersi alla prova, per trovarvi, confermando se stessa, la propriaessenzialità”].



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