Per l'amico Costanzo Preve. Un ricordo personale
di Luca Grecchi
Ho
dovuto attendere un po’ di giorni, dopo la morte di Costanzo, prima di
poter scrivere qualche parola.Troppi sono i ricordi che si affastellano,
ma che quasi sfuggono. Lo avevo visto un mese prima che morisse, e
chiamato una settimana prima; nulla lasciava presagire quanto accaduto
in un tempo così rapido. Mi dicono che anche la sera precedente, pur
sofferente, fosse abbastanza lucido.
In
questi giorni ho potuto appurare,in rete e nei tanti messaggi pervenuti
al sito di Petite Plaisance, la stima e l’affetto di cui godeva; anche
tanti attestati di amicizia, sebbene per lui i veri amici – come soleva
dire – si potevano contare sulle dita di una mano. Ho letto parole molto
belle, e sintesi ottime della sua personalità filosofica, come quella
prontamente composta dall’amico Diego Fusaro. Come molti sanno, è
praticamente in stampa per Petite Plaisance un volume collettaneo, a
cura di Giacomo Pezzano ed Alessandro Monchietto, con vari saggi sul suo
pensiero, per il quale ho realizzato la postfazione (che ricostruisce,
sul piano delle reciproche influenze teoriche, i dieci anni abbondanti
del nostro rapporto). Ho inoltre realizzato una sintesi teorica del suo
discorso nella introduzione ad uno dei suoi libri a mio avviso migliori,
Lettera sull’umanesimo; ribadisco, tuttavia, che il discorso
di Costanzo, per la sua ampiezza e la sua ricchezza, non si può
sintetizzare, in quanto i suoi libri meritano di essere letti tutti dal
primo all’ultimo, poiché in ciascuno diessi si impara qualcosa di nuovo.
In questa sede non voglio affrontare questioni
teoriche, né stilizzare un medaglione filosofico. Per anni abbiamo
affrontato decine di questioni nei nostri incontri, nelle telefonate, e
in introduzioni, recensioni, postfazioni che reciprocamente ci siamo
dedicati. Ora che non c’è più vorrei solo, in questa lettera che
idealmente gli sto inviando – quasi per mostrargli che non sono andate
perse, per me, nemmeno le piccole cose –, salvare qualche ricordo.
Poiché inoltre, in vita, è stato circondato dalla fama di avere un
brutto carattere – oltre che da altre sciocchezze infamanti, che non
reputo nemmeno di commentare –, mi pongo qui anche lo scopo di
restituire una verità biografica, ossia che Costanzo Preve è stato
(almeno negli anni in cui io l’ho conosciuto) una persona buona. Del
resto, la ricerca della verità, che non è mai disgiunta dalla ricerca
del bene, è sempre stata il fine ultimo della sua vita: per questo siamo
rimasti amici senza mai avere uno screzio – anche se spesso, sul piano
teorico, ci siamo reciprocamente criticati. In questo senso, ma direi in
molti sensi, Costanzo era come Socrate, contento se qualcuno lo
“purificava” con la critica. Di quanti importanti docenti accademici,
con cui pure sono in rapporto da anni, mi piacerebbe poterdire la stessa
cosa…
Lascio spazio ai ricordi. Tralascio la storia
del nostro incontro e della nostra prima conoscenza, che ho esposto già
nella introduzione e nella postfazione sopra citate. Vado a ruota
libera,ma dico subito che il ricordo più bello è quello dei nostri
incontri ad Alessandria, stazione di mezzo fra Torino e casa mia, in cui
per anni ci siamo ritrovati io, lui ed Alessandro Monchietto (l’amico
da Costanzo più amato). Questi incontri si sono col tempo un po’
diradati per le varie vicissitudini di salutedi Costanzo, tanto che la
“sede” si è poi trasferita a Torino, a casa sua o nel “solito bar” –
come dicevamo –, quello in cui sono girati alcuni dei suoi video con
Fusaro. Ogni volta che ci si trovava era comunque una festa; capivamo
bene perché il termine theoria, in greco, significava anche “festa”…
Mantenevamo
sempre le stesse abitudini. Costanzo diceva scherzosamente che eravamo
“tradizionalisti”, anzi “conservatori”. Stesso orario, stessa
pasticceria fino alle 12, poi stessa pizzeria fino alle 14,30, quando io
riprendevo il treno per tornare, e loro l’auto in direzione opposta.
Ogni volta, appena arrivato, Costanzo ancor prima di salutarmi estraeva
dalla borsa le cose che aveva scritto nei mesi precedenti (quelle che
non mi aveva ancora spedito per posta), richiedendo il mio commento
rigorosamente nei giorni successivi; poche persone avevano questo
privilegio di avere le sue anteprime, scritte con la famosa macchina da
scrivere con correzioni a mano, e per me era un piacere adempiere al
compito. Altre volte era un libro già edito che ci donavamo, sempre con
affettuose dediche reciproche.
Costanzo soffriva di
diabete, e ci spiaceva prendere la brioche insieme al caffè, ma lui
diceva che era tale la gioia di stare con noi, che la rinuncia non gli
pesava; in quei giorni comunque, a pranzo, sgarrava un po’, ma non
avevamo il coraggio di rimproverarlo. Tendenzialmente Costanzo occupava,
in quelle ore, il centro della scena, e sia io che Alessandro
rimanevamo spesso ad ascoltarlo (a meno che si discutesse di un mio
libro, allora il dialogo si faceva più serrato); non ci dispiaceva
affatto, anzi: ho imparato più in quelle ore di ascolto, che dalla
lettura di decine di libri dottissimi.
Costanzo era anche,
su alcune cose,un po’ ripetitivo. Uno dei suoi leit motiv – quando lo
iniziava io ed Alessandro ci guardavamo, sapendo che lo sfogo di un
quarto d’ora gli era necessario – era il racconto del fatto, avvenuto
molti anni prima, della rottura (per lui dolorosissima) con Massimo
Bontempelli ed il vecchio gruppo di Koinè, che fra le riviste ha sempre
sentito come la sua “casa”. Citava spesso, arrabbiandosi, anche una
rispostaccia che mi diede in una lettera Severino, sebbene ogni volta
sbagliasse l’espressione da lui usata, ed io lo correggevo. Ma non
portava assolutamente rancore. Sarebbe stato pronto a riallacciare
rapporti con chiunque, anche con chi lo aveva offeso ed umiliato, se
avesse ritenuto quei rapporti ancora filosoficamente fruttuosi.
Il
fascino della persona di Costanzo derivava, oltre che ovviamente dalla
ampiezza della sua cultura filosofica (sempre concreta), soprattutto dal
suo rigore morale. Era assolutamente incapace di mentire, ma
soprattutto attribuiva ai suoi gesti ed alle sue parole una grande
consapevolezza; se faceva un complimento, lo faceva in modo
meditato,così come se faceva una critica. Con noi giovani, poi, aveva
uno squisito atteggiamento di “cura educativa”; anche quando doveva
criticarci, lo faceva sempre in modo rispettoso, senza ferire, sempre
trattandoci alla pari (anche ses u molti temi le sue competenze, e la
forza del suo pensiero, ci sovrastavano). Tra noi, infatti, non contava
chi aveva ragione, ma il raggiungimento della verità; non contava chi
fosse “il più bravo”, perché la filosofia è una attività comunitaria, in
cui “si vince” solo insieme, ossia quando si giunge ad un accordo
veritativo dopo avere bene indagato (o si mantiene il disaccordo, ma
avendo chiari i termini del contendere).
Un altro degli
aneddoti che ricordo è quello della sua amicizia con Norberto Bobbio.
Pare che una volta, proprio a casa di Bobbio, per elogiare il talento
previano, l’anziano professore gli disse: “Costanzo, Costanzo, ma è una
cosa incredibile che tu sia fuori dall'università!”: E lui – con quella
ironia che a volte mi faceva venire le lacrime agli occhi dalle risate –
ci confessò di aver pensato: “E allora fai qualcosa, con quel nasone!”
(ma a Bobbio era molto affezionato, e ne parlava sempre con rispetto).
Il
tema della università, ossia di non avere mai fatto parte di quel
mondo, non lo tormentava. E’ sempre stato contento di avere fatto il
professore di Liceo, che – come diceva semprescherzosamente – “è pur
sempre meglio che lavorare”. Gli dispiaceva per noi giovani, i suoi
amici, se non ne facevamo parte. Ricordo che l’unica volta che mi
presentai ad un concorso di dottorato, a Padova, senza passare nemmeno
lo scritto, pianse per quella che riteneva una ingiustizia, “perché
tanti leccaculo che non valgono niente sono dentro, e tu sei fuori!”.
Fortunatamente,ho fatto in tempo a dirgli di avere iniziato a
collaborare con la cattedra di Storia della filosofia della facoltà di
Psicologia dell'Università Statale Bicocca di Milano, notizia che
Costanzo aveva accolto con enorme entusiasmo, perché – soprattutto negli
ultimi anni – quando a qualcuno di noi accadeva qualcosa di bello, era
felice come e più che se la cosa fosse accaduta a lui. Non era un
“padre” nei nostri confronti, ma un “fratello maggiore”, che ci voleva
bene e che cercava, pur lasciandoci liberi, di evitarci errori.
Fino
al 2011 Costanzo ha scritto molto, moltissimo, oltre cinquanta libri ed
un numero enorme di articoli; fino ad un paio di anni fa ciò che gli
stava più a cuore era che tutti i suoi inediti fossero pubblicati. Negli
ultimi tempi, però, non lo diceva quasi più, in quanto sapeva che i
tenutari di questi inediti – io ed Alessandro Monchietto (anche se non
escludo che qualcosa sia tuttora in mano ad altre persone, perché per
Costanzo non esisteva un copyright delle idee filosofiche: accettava
anche, quasi senza arrabbiarsi, che altri utilizzassero le sue idee
senza adeguatamente citarlo) –, in caso di sua morte, avrebbero
mantenuto la promessa di pubblicare tutto ciò che mancava; di noi si
fidava ciecamente, e sapeva per questo di poter stare tranquillo.
Qualcuno
ha criticato Costanzo per aver scritto troppo, anche su riviste o case
editrici cosiddette “di destra” (le polemiche da ciò suscitate hanno
portato ad un indebito “schiacciamento” politico della sua posizione
filosofica, che emerge anche in questi ricordi in internet). Tante volte
ne abbiamo parlato, ma su questa cosa non accettava consigli; diceva
anzi: “il saggio è bello o no? E allora: meglio che sia uscito su questa
carta considerata impura, o se fosse rimasto nel cassetto?”. Tante
volte io ed Alessandro – ma non solo – gli abbiamo sconsigliato alcune
uscite su temi politici controversi, ma lui riteneva che una
argomentazione, se aveva il suo valore, andava esposta comunque, anche
andando incontro alle critiche del politically correct “di sinistra”;
solo esponendola, infatti, essa avrebbe contribuito al dialogo, e
pertanto alla verità.
Gli incontri con Costanzo erano sempre caratterizzati da progetti.
Negli ultimi anni si interessava soprattutto ai nostri, in quanto dopo il 2008, con la scrittura della sua Una nuova storia alternativa della filosofia,uscita
poi nel 2013, era consapevole di avere esposto il coronamento di
cinquanta anni di studi, un testo destinato a rimanere nel tempo.
Quando, telefonicamente, lo sentivo giù – e negli ultimi tempi talvolta
capitava –, gli dicevo sempre: “Costanzo, ricordati di quello che hai
fatto, che ciò che hai scritto ha un valore enorme, che hai realizzato
qualcosa di straordinariamente utile per tutti”. Quando sento docenti
che non valgono un unghia di Costanzo rivolgere critiche – senza,
ovviamente, mai argomentarle – a questo libro, mi limito a sorridere.
La
consapevolezza che la sua vita aveva avuto un senso ed un valore
importanti, lo ha accompagnato negli ultimi anni; con noi lo diceva:
“Sono contento della mia vita, ho fatto quello che volevo: scrivere di
filosofia, diventare un filosofo”. La sua ultima intervista, rilasciata
nella sua casa di Torino circa un mese prima della sua morte, uscirà a
gennaio 2014 nel prossimo numero di Koinè, che sarà intitolato appunto Senso e valore della filosofia; la
rivista ospiterà anche quello che, almeno a mia conoscenza, è stato il
suo ultimo scritto, ovvero una lunga recensione di 15 pagine al libro,
da me composto con Carmine Fiorillo, intitolato Il necessario fondamento umanistico del“comunismo”.
Negli
ultimi due anni, più degli incontri – a causa della distanza geografica
che ci divideva – erano frequenti le telefonate. Alcuni amici mi
dicevano spesso di averlo sentito piangere al telefono, per la
depressione di cui soffriva, acuita dai vari problemi di salute. Con me
non è mai capitato. Si faceva forza, ma non perché sentiva una qualche
forma di “soggezione” nei miei confronti (tra i giovani amici ero
comunque “il più vecchio”), bensì – penso – per una forma di cura nei
miei confronti, come se non volesse farmi preoccupare, quasi per
lasciarmi scrivere più tranquillo. Per Costanzo era infatti importante
soprattutto quello che rimaneva da fare, da scrivere; non rileggeva mai i
suoi libri, bensì pensava sempre al libro successivo, di cui io ed
Alessandro Monchietto eravamo pressoché sempre,negli ultimi 6-7 anni, i
primi lettori.
Mi congedo allora con il ricordo non della
nostra ultima telefonata, ma della penultima. Ci eravamo visti due
giorni prima. Ricordo esattamente le sue parole conclusive. Mi disse:
“Luca, ricordati sempre che io ti voglio davvero bene”. Ed io, un po’
imbarazzato, per una certa difficoltà ad esprimere i sentimenti che da
sempre mi caratterizza: “Sai che vale anche per me”. E lui di nuovo:
“No, forse non hai capito. Devi ricordarti che io ti voglio davvero
bene”. Ed io ancora: “Ti ringrazio Costanzo, lo sai…”.E lui, un’ultima
volta: “No no, io voglio essere sicuro che hai capito che ti voglio
davvero bene”. Ed io, allora, l’ho rassicurato, questa volta un po’
commosso.
Caro Costanzo, voglio salutarti così, con una
delle tante cose che ho imparato da te. Mi ricordo quando mi hai detto
che i Greci, quando devono salutare un amico che non vedranno per un po’
di tempo, non stanno ad esprimere lungamente i propri sentimenti, ma
usano queste parole: “le cose note…”. Permettimi allora, come i nostri
amati Greci, di salutarti così, con queste tre parole; quelle cose note
che non potremo più dirci, ma che, come sai, conoscevamo bene.